venerdì 10 luglio 2015

Il botanico ignorato


L'ultimo anno di università, durante la preparazione della tesi di laurea, spesi molto tempo ed energie nello scrivere con esattezza i nomi delle piante che stavo studiando, evitando eventuali sinonimi. Le piante (e tutti gli esseri viventi) sono classificati secondo la nomenclatura binomiale proposta da Linneo e così composta: un nome generico, un nome specifico ed il nome dell'autore. Ad esempio il comune burro di karitè sarà: Vitellaria paradoxa C.F.Gaertn.
Non a caso ho scelto questa specie! Il noto burro di karitè, conosciuto meglio come Butyrospermum parkii, perchè lo chiamo Vitellaria paradoxa C.F.Gaertn? Perchè qualche anno fa la specie ha subito una revisione sistematica, i ricercatori si sono accorti che la classificazione precedente non era corretta più corretta.
Spesso i nomi delle piante (come di tutti gli esseri viventi) cambiano, sono, come si dice, soggetti a revisione. Questo avviene perchè nuovi dati sull'evoluzione delle specie possono includere o escludere una specie da un determinato gruppo; oppure, a volte, un gruppo non è formato da una sola specie, bensì da due, o più di due, e questo comporta la necessità di assegnare nomi diversi.
Fino a quando si rimane dentro l'Università i problemi non ci sono, i sistematici sono abituati a seguire i cambiamenti nella classificazione e quindi nel nome di una specie.
Può sembrare tutto molto complicato e forse inutile, ma non credo a te piaccia essere chiamato/a con un altro nome, quel nome identificate te e le tue origini. E poi, riprendendo Edward O. Wilson, "presso tutte le culture, la classificazione tassonomica è sinonimo di sopravvivenza; la sapienza - come dicono i cinesi, nasce quando si comincia a chiamare le cose col loro giusto nome" (Edward O. Wilson, Biodiversità, Biblioteca Scientifica Sansoni).

Tornando alla Vitellaria paradoxa C.F. Gaernt, il problema si pone nel momento in cui devo riportare l'elenco esatto delle materie prime impegate nella formulazione di un prodotto cosmetico e quindi l'INCI dell'ingrediente. Nel riportare un estratto vegetale si indica il nome scientifico della pianta (genere e specie) seguito dalla parte della pianta impiegata. L'obiettivo dell'INCI è farmi capire! Facile a dirsi difficile a farsi!!
Il Butyrospermum parkii Butter lo conoscono tutti, forse un po' meno il Vitellaria paradoxa Butter ed anche se alcuni grossisti riportano il nome INCI esatto (ovvero V. paradoxa Butter) non mi sembra che le aziende cosmetiche si siano mosse in tal senso... Si potrebbe pensare di pubblicizzare un nuovo miracoloso estratto vegetale esotico (che tanto piace!) facedo crescere le vendite dei prodotti e puntando sull'ignoranza dei più, ma no!, troppo meschino! Oppure si potrebbe iniziare a proporre il burro di karitè con il suo proprio nome, facendo i conti con una possibile perdita di vendite iniziali perchè il consumatore interessato al Butyrospermum parkii non ha alcuna intenzione di acquistare questa Vitellaria paradoxa! Anche questo no! Non sarebbe impresa!
Le aziende definiscono l'INCI in base a quanto riportato nei database accreditati, in Europa il CosIng non più aggiornato perchè in attesa di un elenco definitivo stilato dalla Comunità Europea: ahimè, industria, istituzioni e ricerca viaggiano a velocità diverse, sia in un senso che nell'altro... Si continua ad aspettare che, lentamente molto lentamente, la cultura botanica del nostro Paese cambi, si cominci a dare peso alla ricerca e che il passaggio di informazioni avvenga in modo più rapido.

sabato 4 luglio 2015

Iperico: cacciadiavoli e cacciapensieri!

Forse oggi preferiremmo un corno rosso o un ferro di cavallo, invece anticamente chi si trovava la notte della vigilia della festa di San Giovanni in strada, quando le streghe erano solite riunirsi, portava con sé rami di iperico (ma anche aglio, ruta e artemisia) per difendersi da queste.
I fiori giallo lucido hanno la caratteristica di colorare le dita di rosso se strofinati mentre le foglie se viste in controluce sono costellate di minuscoli pori che altro non sono che ghiandole ricche di essenza.
L'utilizzo dell'Hypericum perforatum L. è antico, sia nella tradizione mistica per allontanare demoni e spiriti, sia in quella medica per curare ferite e sanguinamenti. Tradizionale è la raccolta di iperico tra il 21 e il 24 giugno (quando ricade la notte di San Giovanni) per estrarre dalle foglie, macerate al sole nell'olio d’oliva, i principi attivi. Il caratteristico colore rosso rubino dell’estratto che si ottiene è dovuto all’ipericina, principio attivo della pianta e responsabile delle sue proprietà.
Oltre che nel trattamento di piaghe e ferite, l'olio è utilizzato anche contro edemi, cicatrici, acne, scottature e ustioni.
Io lo uso spesso nelle mie preparazioni sia in un olio per pelle grassa sia in creme rigeneranti e riparatrici della cute lesa. 
Discusso e controverso è l'uso interno dell’erba di San Giovanni come antidepressivo: nel trattamento degli stadi depressivi lievi e medi garantisce risultati paragonabili a quelli di farmaci antidepressivi. Il suo successo, soprattutto negli anni passati, raggiunse altissimi livelli tanto che negli Stati Uniti le vendite di integratori a base di iperico per il trattamento di ansia e depressione crebbero in modo vertiginoso fino a superare quelle dei più comuni farmaci antidepressivi.
In quanto potente farmaco non può non avere delle controindicazioni. Pubblicazioni scientifiche sugli effetti indesiderati causati dall'assunzione dell’iperico in associazione con altri farmaci determinarono, però, il crollo delle vendite e la popolarità dello stesso. In particolare si mise in evidenza come, in associazione con farmaci antidepressivi, contraccettivi orali, anticoagulanti come il warfarin, antibiotici, farmaci antirigetto come la ciclosporina, l’iperico causava una riduzione della concentrazione ematica di questi farmaci e quindi della loro efficacia.
Altro effetto collaterale spesso segnalato è la fotosensibilità per uso interno, anche se nell'uomo sono stati evidenziati solo pochi casi in seguito ad uso prolungato e con dosaggi più elevati di quelli raccomandati. Per uso esterno non sono segnalati fenomeni di fotosensibilità tanto che alcuni produttori lo inseriscono anche nella formulazione di prodotti solari!